Secondo uno studio PwC dal titolo Will Robots Steal Our Jobs si stima che, entro il 2035, robot e intelligenze artificiali saranno in grado di sostituire il 39% dei posti di lavoro attualmente esistenti in Italia. Tuttavia dato che nuove occupazioni ad oggi impensabili nasceranno in settori diversi da quelli noti, il saldo risulterà alla fine positivo.
Ma come preparare i nostri ragazzi e gli adulti, cittadini maturi, a ricoprire tali ruoli e adeguarsi al cambiamento?
Qual è il ruolo delle istituzioni preposte alla definizione del percorso educativo e delle politiche che favoriranno l’inclusione delle persone ( a tutti i livelli, studenti, cittadini, lavoratori) in questa trasformazione digitale?
È allora necessario che i diversi attori sociali – dai Governi alle imprese, passando per Università e corpi intermedi – sviluppino, ognuno nel proprio ambito, piani di azioni che sappiano gestire queste dinamiche, così da sfruttare le opportunità aperte dalle nuove tecnologie, invece di esserne travolti.
L’investimento nella formazione digitale
Nel secolo dell’“economia della conoscenza” gli investimenti in formazione assumono un valore strategico, sia dal punto di vista delle singole imprese sia ragionando in un’ottica di sistema. Eppure, oggi l’Italia è ancora lontana da adottare un modello che metta al centro le competenze e il loro continuo aggiornamento. Il rilancio e la crescita passano allora da politiche volte a creare un ecosistema aperto all’innovazione, attento alla ricerca, capace di generare eccellenza e di attrarre investimenti e talenti.
Da una parte dobbiamo sperare nell’implementazione di alcune leve in grado di favorire l’acquisizione di competenze digitali, creando come una specie di “cittadinanza digitale” che permetta a ognuno di entrare in possesso delle capacità per partecipare alla vita sociale di un mondo sempre più plasmato dalle nuove tecnologie.
Dall’altra, a partire dalle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie, serve un cambiamento nel sistema educativo che solo le istituzioni possono avviare, un cambiamento in cui tecnologia e digitale non devono essere studiate come materie a sé, ma piuttosto introdotte e integrate in maniera olistica nel percorso di crescita attraverso progetti didattici volti allo sviluppo delle conoscenze digitali ma anche delle soft skills, strettamente connesse al primo punto.
Allo stesso tempo, gli attori istituzionali deputati alle politiche del lavoro devono tendere sempre più ad agire in stretta collaborazione, e in costante dialogo sociale e territoriale, con i soggetti delle rappresentanze datoriali e sindacali al fine di avvicinare gli strumenti di “matching” domanda – offerta attraverso un contributo di “contenuto”, aggiornato, sulle competenze digitali richieste.
Come possono le istituzioni diffondere una cultura del digitale?
I policy maker dovranno concentrare i loro sforzi nell’implementazione di:
- politiche trasversali – che promuovono la creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo delle competenze digitali (qualità delle infrastrutture, disponibilità a realizzare attività online, qualità dei contenuti disponibili online);
- politiche settoriali, incentrate sull’istruzione e sulla loro connessione con il mercato del lavoro (età di avvicinamento alle ICT per l’apprendimento, grado di utilizzo delle ICT da parte degli insegnanti, disponibilità di dispositivi digitali per l’apprendimento).
Attraverso l’applicazione di queste politiche le istituzioni potranno intervenire direttamente in tre ambiti:
- la cittadinanza digitale
- la parità di genere
- l’istruzione
Cittadinanza digitale
Il concetto di cittadinanza digitale indica l’esercizio, da parte del cittadino, di diritti e doveri mediante l’uso di strumenti e servizi digitali, come ad esempio:
- l’identità digitale;
- la firma digitale;
- il domicilio digitale;
L’uso delle tecnologie digitali mira a semplificare il rapporto tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione. Inoltre, l’accessibilità online a questi servizi genera ampie opportunità di inclusione poiché abbatte le barriere spazio-temporali. Ma affinché la cittadinanza sia realizzabile il cittadino digitale deve essere in grado di sfruttarne i servizi; necessita, dunque, di adeguate competenze digitali – come la capacità di navigare su internet, utilizzare chiavi crittografate, aprire documenti protetti – che può avere appreso durante il percorso educativo-formativo.
Parità di genere
Nei paesi OCSE le donne costituiscono ormai la maggioranza dei laureati ma solo l’1,4% delle lavoratrici possiede competenze specialistiche in campo ICT(contro il 5,5% degli uomini). Nonostante questo, è noto che dalla padronanza di competenze digitali e soft skills possono nascere nuove opportunità per l’universo femminile e che quindi potrebbero aprire le porte ad ambiti professionali tipicamente “maschili” legati all’automazione e all’utilizzo di strumenti digital (per esempio il settore manifatturiero e dell’agricoltura).
Una ricerca di NetConsulting Cube per CA Technologies, condotta su un campione di HR e CIO di 60 aziende italiane e 225 studenti di licei e istituti professionali, mostra che la percentuale di donne laureate in discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Math) è scarsa, e il 46% crede di non avere le qualità per fare carriera in campo tecnico-scientifico(28). L’elemento “flessibilità” dovrebbe essere un grande alleato delle “donne digitali” ed infatti nei paesi Ocse hanno percentuali più elevate occupazionali le donne che lavorano da casa e tra esse spiccano le donne madri; inoltre, da un punto di vista economico, si rileva una riduzione del divario retributivo di genere nei settori dove l’organizzazione del lavoro è più flessibile. Ma serve che le istituzioni creino un sistema sociale più inclusivo e di supporto con politiche a sostegno di questo cambiamento.
Istruzione
L’integrazione delle ICT nei sistemi di istruzione e formazione rappresenta una delle principali leve del cambiamento atteso per il potenziamento delle digital skills. Ma i nostri ragazzi non sono ancora in grado di utilizzare al meglio le risorse digitali che non devono solo “facilitare” il processo di apprendimento ma soprattutto migliorarlo. Serve formare i giovani ad un uso consapevole.
Come fare? Prima di tutto superando il divario generazionale tra studenti e docenti. Gli studenti (i nativi digitali) saranno effettivamente in grado di sviluppare competenze digital ed usare in modo efficace le tecnologie a condizione che anche i docenti stessi (i cosiddetti immigrati digitali) siano adeguatamente preparati.
Il tutto dovrà essere poi armonicamente integrato in un progetto didattico/formativo.
In particolare, la formazione degli insegnati dovrà avvenire su due livelli:
- la formazione nelle ICT, in modo che le competenze digitali possano essere trasmesse efficacemente agli alunni;
- la formazione volta all’integrazione delle ICT nei metodi di insegnamento, in modo che la tecnologia digitale non sia solo un obiettivo ma anche un mezzo per lo sviluppo di tutte le competenze.
I dati sono la soluzione
È ovvio che per poter mettere in pratica tutte queste valide e interessanti riflessioni è necessario prendere decisioni che siano supportate analiticamente da numeri e dati. Burning-Glass Technologies può aiutare istituzioni ed enti governativi nei processi di policy decision making grazie all’analisi in tempo reale degli annunci di lavoro pubblicati sul web, una cartina di tornasole per comprendere dove sta andando il mercato del lavoro e supportare di conseguenza, attraverso piani di intervento e politiche attive, la pubblica amministrazione, i cittadini, le scuole e le aziende nel processo di evoluzione digitale e tecnologica.
I dati e le considerazioni di questo articolo sono tratte dal white paper “Digital Skills – Come ripensare l’istruzione e la formazione nell’era digitale: competenze digitali e nuovi modelli per l’apprendimento” realizzato da PWC con Dati Burning-Glass Technologies.